Il Passatore

di Andrea Trentini

Romagna solatia, dolce paese

cui regnarono Guidi e Malatesta;

cui tenne pure il Passator cortese,

re della strada e re della foresta.

Romagna – Giovanni Pascoli



Era una notte buia e tempestosa. Anzi, quella volta lì doveva esserci il sole quando, mentre Stefano aiutava controvoglia il padre nel mestiere del passatore, all’imbarco del traghetto si presentò un bandito. Che era un bandito lo si capiva subito: era alto e massiccio, portava degli orecchini d’oro e il suo volto era adornato da degli splendidi mustacchi. Stuvané lo aveva visto bene, lo divorava con gli occhi e aveva addirittura scambiato con lui alcune battute di scherno sui papalini. Ecco uno che non piega la schiena, uno che va all’avventura invece che starsene nei campi! Avrà probabilmente pensato.


E in effetti, Stefano Pelloni detto Melandri, amorevolmente chiamato da famigliari e amici col diminutivo Stuvané, un bandito lo era diventato. E che razza di bandito, furbo, spietato, sanguinario. Fra i tanti che in quel periodo storico, siamo fra il 1840 e il 1850, infestavano la Romagna, solo i suoi delitti sono diventati gesta, la sua storia una leggenda. E c’erano state le notti buie quando si accingeva a perpetrare i suoi delitti e anche tempestose, quantomeno in senso metaforico, quando era braccato da tre eserciti contemporaneamente.
Fin da bambino si era capito che il potere costituito non avrebbe fatto parte del suo essere. La famiglia, nel vano tentativo di dargli un’istruzione, lo aveva iscritto a una scuola privata, ma a nulla era giovata la sferza che il maestro era uso calargli sulle dita con fine pedagogico. Le mani doloranti sfogliavano il libro, ma la fantasia correva lontana cercando i campi e le strade oltre la cornice della finestra. Dopo tre anni di scuola ne era uscito con il titolo di analfabeta. Già a quindici anni fece il suo debutto ufficiale in un’aula di tribunale per una sassata alla figlia di un vicino di casa finita senza conseguenze. Poi era stato accusato di concorso in rapina con assassinio e di essere il mandante dell’omicidio di un testimone. Per affinare il suo apprendistato aveva fatto parte della banda del Taglione, che mandava i suoi accoliti di notte a taglieggiare i contadini e i proprietari terrieri con la minaccia di un lutto in famiglia oltre all’incendio dei loro fienili. Di lì, la prigione, le evasioni, le catture e la definitiva latitanza.

Le cause – o le scusanti per i suoi ammiratori – che avevano indotto Stefano Pelloni a intraprendere la carriera del fuorilegge si possono ricercare nella situazione politica ed economica di quel periodo. Quelli furono certamente anni neri per la Romagna e per i suoi abitanti. Il Congresso di Vienna aveva annesso l’intero territorio romagnolo allo Stato Pontificio. Nel giro di quindici anni, ai contadini era stato tolto tutto, fuorché il lavoro. Persino i trebbi, le feste rurali legate al ciclo del raccolto, erano stati proibiti, in quanto sinonimo di scarsa rettitudine. Restava una popolazione povera e infelice, orfana di pane e di svaghi, costretta da una parte a seguire alla lettera le imposizioni dei possidenti e dall’altra le prescrizioni del clero intransigente e bigotto.
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Maggio 2012 (Numero 20)

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