Il salotto di Nonna SperanzaLa Grande Causa Bolognese

di Marinette Pendola

La giovane accostò il binocolo agli occhi e, come tutte le signore e signorine che popolavano le tribune, orientò lo sguardo verso un punto preciso della gabbia in cui erano rinchiusi gli imputati, fissandolo su un uomo dalle forme leggiadre il quale, consapevole del proprio fascino, contraccambiava sfacciatamente e con una specie di compiacenza quegli sguardi ben poco lodevoli – scrive Bottrigari nella sua Cronaca di Bologna.

Grasselli (Miniatura 219x249 px)Si trattava di Pietro Ceneri, temuto capo della cosiddetta Associazione dei Malfattori che aveva imperversato impunita a Bologna negli anni precedenti e immediatamente successivi all’Unità, commettendo rapine a mano armata, estorsioni, omicidi. L’Associazione era organizzata, secondo schemi che oggi diremmo mafiosi, in Balle (ovvero combriccole) che si dividevano in modo ferreo il territorio. C’era la Balla di Saragozza, quella di Mirasole, quella di Torleone, della Fondazza e altre ancora. La più importante di tutte era quella di Piazza, meglio conosciuta con il nome di Balla dalle scarpe di Ferro, che controllava tutte le altre e il cui capo era il bel Pietro Ceneri dagli occhi di ghiaccio che, in quel giorno del 1864, la giovane donna e tutte le signore della tribuna erano venute ad ammirare con una certa morbosa compiacenza.

Quel processo, che vedeva alla sbarra 110 imputati, rappresentava la conclusione di una lunga stagione di delitti compiuti con la certezza dell’impunità. Una certezza che aveva preso corpo durante il decennio austro-pontificio per l’inadeguatezza delle forze di polizia e forse anche per collusioni e complicità con gli agenti. L’inevitabile epurazione dopo l’Unità portò in città nuovo personale né adatto né sufficiente per numero all’oneroso e difficile incarico. L’aggressione al conte Giovanni Malvezzi, il 5 luglio 1860, derubato di un orologio rarissimo oltre che di tutto il denaro; l’assassinio del giovane Guidi in un tentativo di furto dell’incasso della drogheria di famiglia, la vigilia di Natale di quello stesso anno; l’assalto alla diligenza di Toscana, presso Porta Saragozza, la notte fra il 4 e il 5 febbraio 1861, nel tentativo de derubare un’ingente somma che avrebbe dovuto servire all’ufficiale pagatore della Ferrovia in costruzione sull’Appennino ma che risultò inutile poiché con quella corsa non venne spedito il denaro; il furto, nella notte fra il 15 e il 16 luglio 1861, presso la Zecca di Bologna, ormai prossima alla chiusura definitiva, di alcune verghe d’oro; le lettere anonime e minatorie inviate a persone agiate della città con richiesta di denaro: tutto ciò suscitò costernazione e rabbia fra i cittadini che chiesero a più riprese l’intervento del governo.

Fumagalli (Miniatura 219x238 px)Ma fu l’omicidio, nella notte del 29 ottobre 1861, del vice-questore Grasselli e dell’ispettore di polizia Fumagalli, freddati in Strada Maggiore con alcuni colpi di arma da fuoco, che determinò il governo a inviare due funzionari veramente validi: il prefetto Pietro Magenta che si dedicò, sin dal suo arrivo, alla compilazione di un libro nero in cui iscrisse tutte le persone compromesse o sospette (non esisteva ancora il casellario giudiziale) e il questore Felice Pinna il quale proseguirà in modo sistematico il lavoro iniziato da Grasselli. I malfattori accolsero i nuovi funzionari con un furto alla cassa della stazione ferroviaria il cui bottino fu di ben 80 mila lire.



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Grasselli e Fumagalli (1861)

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Maggio 2015 (Numero 25)

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