
Gli studi recenti dedicati al complesso monumentale della Certosa hanno svelato una inedita e per certi versi inaspettata fama internazionale del cimitero bolognese, fondato nel 1801 attraverso il riuso delle strutture dell’omonimo monastero fondato nel 1334. Stendhal, Byron, Mommsen e Pascoli tra i tanti ci hanno lasciato traccia scritta della loro passeggiata, e pontefici e regnanti non mancarono di visitarla in diverse occasioni.
Il camposanto felsineo anticipò di tre anni l’Editto napoleonico di Saint-Cloud, rendendolo di fatto il primo cimitero moderno d’Europa: questo però non giustifica l’assiduità con cui era visitato da curiosi e intellettuali nel corso dell’Ottocento. Certamente un punto a suo favore derivò dall’essere stato per decenni l’unico complesso di grandi dimensioni di tal genere, in quanto gli altrettanto celebri cimiteri di Genova, Milano o Roma furono inaugurati anche sessanta anni dopo il nostro. Molti altri sono gli aspetti storico artistici che rendevano la Certosa un unicum, e appare ormai certo che fu determinante il contributo dei diversi
Custodi Dimostratori, ovvero i direttori-guide turistiche che man mano accompagnarono cittadini e forestieri. Un aiuto per comprendere meglio questi aspetti ci viene per esempio da due testimonianze distanti tra loro nel tempo, ma che esprimono quanto forte fosse anche l’impatto emotivo durante la visita. Nella rivista milanese
Cosmorama pittorico del 1837 l’autore scrive come sia il più grandioso campo santo di tutta Italia: